Maria, madre di prossimità

2020-11-11
Maria, madre di prossimità

La pandemia che da mesi stiamo vivendo – tra l’altro senza una certezza di soluzione, almeno in tempi brevi – ha visto l’adozione di alcune misure di sicurezza che ne sono diventate il tratto caratteristico, una specie di brand. Una di queste misure di sicurezza è la mascherina, di varie forme e fattura, indispensabile per la protezione propria ed altrui. Data la natura volatile del virus, la mascherina è considerata il presidio per eccellenza nella riduzione della trasmissione del contagio.

Per le sue caratteristiche, la mascherina dis - figura e cela i tratti somatici personali rendendo spesso difficile il riconoscimento anche tra persone abituate a familiarità: chi di noi non ricorda almeno un singolo caso in cui non è stato capace di riconoscere, dietro la mascherina, un volto conosciuto, una persona nota, un collega o un semplice conoscente? L’uso della mascherina ha determinato una forma di separazione, di alienazione e persino di anonimato, da un versante; dall’altro, tuttavia, ci ha costretto a sviluppare un senso di cui non si fa frequente uso, in un’epoca – come la nostra – di inflazione della parola e di ogni altra gestualità immediata, se non addirittura di relazioni mediatiche, affidate alla rete: abbiamo imparato a fare uso dello sguardo attento, intenso e profondo, diverso dal semplice guardare superficiale e frettoloso. Abbiamo imparato la differenza tra vedere e guardare. Lo sguardo, infatti, va oltre la mera funzione visiva di decodificazione delle immagini proprio della vista ed esprime e manifesta una gamma di emozioni in sostituzione delle parole e della mimica: con lo sguardo possiamo sorridere, ammiccare, salutare, interrogare, annuire o dissentire, approvare o rimproverare e così via. Lo sguardo ingloba immagini e, allo stesso tempo, rivela qualcosa di sé.

Di Maria i Vangeli o le tradizioni popolari non riportano molte parole. Conosciamo il suo dialogo con l’Angelo che le preannuncia la maternità; abbiamo testimonianza della suo materno rimbrotto al Figlio scomparso nel Tempio e della sua richiesta di intervento alle nozze di Cana: per inciso, ricevendone, una risposta non proprio filiale da parte del Figlio! Per il resto, ci risulta che la Madre abbia trascorso la Sua vita nel silenzio, un silenzio fatto di sguardi protettivi ed amorevoli verso il Figlio. Maria non solo guardava al figlio con le preoccupazioni e le premure proprie di ogni madre, ma Lo contemplava per penetrarne i misteri. Maria volgeva verso il Figlio lo sguardo proprio della discepola intenta a “meditare tutte queste cose nel suo cuore”.
Nell’ora suprema del sacrificio del Figlio, Maria lo seguiva offrendoGli – attraverso il suo sguardo tenerissimo e straziato – la propria partecipazione, vicinanza e sostegno lungo la Via dolorosa.
Al culmine della esperienza terrena di Gesù, sul Golgota, lo sguardo di Maria contemplava il Figlio sfigurato dalle percosse e agonizzante sulla croce.

Maria – in silenzio attivo – partecipava alle vicende della vita del Figlio con lo sguardo! Non c’è dubbio che Gesù abbia ricevuto da questi segni di solidarietà della Madre forza ed energia per andare avanti, sentendosi meno solo nell’ora in cui tutti – amici, discepoli e beneficiari della Sua attività guaritrice – lo avevano abbandonato. Ciò che Maria non ha comunicato con le parole, lo ha fatto – in maniera sublime – attraverso lo sguardo! Parlando agli operatori sanitari di varie regioni d’Italia, papa Francesco ricordava come «nel turbine di un’epidemia con effetti sconvolgenti e inaspettati, la presenza affidabile e generosa» di tanti di loro ha costituito il punto di riferimento sicuro per i malati e per i familiari, impossibilitati a fare visita ai loro cari. «Questi operatori sanitari, sostenuti dalla sollecitudine dei cappellani degli Ospedali, hanno testimoniato la vicinanza di Dio a chi soffre; sono stati silenziosi artigiani della cultura della prossimità e della tenerezza». Un altro autore scrive: «Nell’emergenza che stiamo ancora vivendo a causa della pandemia di coronavirus è risuonata un’urgenza, una vocazione che molti hanno sentito come universale, senza frontiere e senza possibili fraintendimenti: la com-passione, il soffrire insieme». La pandemia ha dato vita a numerosi esempi di compassione creativa, di attiva partecipazione al dramma dei malati e dei loro familiari in forme concrete e adattate alle possibilità. Come mi diceva un medico palliativista nel periodo del mio servizio in Hospice, “non siamo chiamati a soddisfare i requisiti delle procedure, ma a risolvere problemi”: la compassione non si ferma al sentire, ma è il motore da cui si sprigiona l’agire.

Oggi viviamo una particolare esperienza nella quale la prossimità fisica può essere fonte di rischio: quanti di noi esitano ad avvicinarsi alle persone, nel timore del contagio? E nel momento in cui siamo costretti a una vicinanza più stretta e continua può venir fuori il meglio o il peggio. Possiamo voler bene all’altro avvicinandoci e volergli male distanziandoci. Ma può essere vero anche il contrario. Ci sono prossimità che curano e prossimità che feriscono, distanziamenti che feriscono e distanziamenti che ci impediscono di farci del male.

Nella impossibilità di ogni altra forma di contatto; nella rinuncia e astensione da qualsiasi “con-tatto” (sociale, affettivo, lavorativo, ludico, relazionale etc); nella inutilità delle parole, non ci sono rimasti che gli occhi; non c’è rimasto altro che lasciarli parlare, così che siano loro a esprimere tutta la ricchezza e profondità dei nostri sentimenti.

«La compassione inizia dallo sguardo». Una particolare forma di prossimità è appunto la prossimità dello sguardo. Se lo vogliamo, nello sguardo c’è già tutto l’amore. Siamo chiamati ad avvolgere di sguardi buoni e ristoratori coloro che incontriamo e che, in particolare, sono affaticati.

Attraverso lo sguardo premuroso, attento e carico di interesse ed affetto possiamo mitigare il senso di solitudine percepita, effetto della pandemia e causa di rischio per la salute mentale. Maria ha saputo avvolgere il Figlio di sguardi attenti, anche indagatori, certamente ricchi di tutta la sua passione, partecipazione, solidarietà ed amore, della sua fede incrollabile tale da trasfondere nel Figlio forza ed energia per la Sua missione. Maria è davvero madre della prossimità dello sguardo e offre a noi un modello di partecipazione alle sofferenze altrui. Ci invita a partecipare al dramma dei nostri fratelli e quando ci pare di non avere più risorse, ci ricorda che la compassione si nutre di tutta la nostra capacità espressiva di cui lo sguardo è strumento spesso trascurato e dalle risorse inaspettate. Chiediamo a Maria che anche noi possiamo diventare esperti della prossimità dello sguardo, obbligandoci a fermare ogni altra attività, a porci all’altezza (perché ci si può guardare solo mettendoci al livello dei malati e dei feriti) e a trasmettere loro tutto l’affetto, l’amore e la solidarietà di cui siamo capaci e depositari.

Gratitudine a P. L. Sandrin da cui ho spunto per la riflessione

Orario messe

Le sante messe vengono celebrate con questi orari:

  • feriali: 7.30, 8.30 e 17.30
  • festivi: 9, 11 e 17.30

Ogni Mercoledì

  • 17.00 Rosario con San Giuseppe
  • 17.30 Santa Messa per gli infermi o per la Chiesa universale

Orario Confessioni

  • Tutti i giorni dalle 16.30 alle 17.30

Ogni Giovedì

  • 16.30 Esposizione e adorazione eucaristica
  • 17.00 Rosario eucaristico
  • 17.30 Messa del Preziosissimo Sangue di Gesù
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