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Prevenzione della neoplasia della mammella: l'importanza dei test genetici in gruppi familiari

2019-08-07
Prevenzione della neoplasia della mammella: l'importanza dei test genetici in gruppi familiari

Nell'ambito dell'opera di prevenzione dei tumori alla mammella, anche i test genetici in gruppi familiari a rischio costituiscono ormai una parte integrante nell’ambito della prevenzione e profilassi oncologica. Il dottor Dario Rovini, medico chirurgo senologo presso la Casa di Cura San Camillo di Milano, ci indica come e chi può ricorrere a questo percorso innovativo: “Il carcinoma della mammella è attualmente considerato una patologia multifattoriale. Sebbene la maggior parte dei casi siano sporadici, insorgano cioè in donne senza una significativa storia familiare per questa patologia, esiste tuttavia una minoranza di casi, pari al 15%, definiti “familiari”, in cui tale patologia possiede una frequenza superiore a quella della popolazione generale. Nell’ambito dei casi familiari, il 5-7 % circa è considerato “ereditario” ovvero riconducibile alla presenza di mutazioni germinali, cioè trasmissibili, in geni che conferiscono un significativo rischio di sviluppo del carcinoma mammario. Attualmente sono stati identificati due geni principali responsabili di tale suscettibilità, il gene BRCA1 e il gene BRCA2, che renderebbero conto di un terzo circa dei casi di carcinoma mammario ereditario della mammella, mentre la restante quota dei casi sarebbe legata alla presenza di mutazioni di geni diversi, peraltro ancora sconosciuti per la maggior parte. I geni BRCA1 e 2 sono geni oncosoppressori, a trasmissione di tipo autosomico dominante e penetranza elevata. In altre parole un individuo, sia esso maschio o femmina, portatore di una alterazione (mutazione) in uno di questi geni, possiede un rischio di trasmissione della mutazione stessa alla prole pari al 50% e indipendente dal sesso del nascituro. Donne con mutazione di entrambi o uno geni BRCA hanno una elevata possibilità di sviluppare, nel corso della vita, un tumore mammario e/o ovarico/tubarico. La neoplasia inoltre insorge in età precoci, spesso plurifocale e bilaterale”.

E quindi quali sono le donne che possono sottoporsi ai test genetici?
Sull’onda mediatica prodotta da casi di personaggi famosi - e cito tra tutti quello di Angiolina Jolie (l’attrice tra il 2013 e il 2015 si è fatta asportare prima i due seni e poi le ovaie dopo aver scoperto di essere portatrice di una mutazione del gene BRCA, ndr) - sono in tante che vorrebbero sottoporsi ai test genetici o, comunque, approfondire il problema senza affidarsi a ricerche anonime sui “media”. Ritengo che un primo informale approccio sia richiesto e fattibile in molti casi. Questo consiste in un colloquio in cui si compila un albero genealogico familiare con notizie riguardanti eventi oncologici dei vari membri del gruppo. A questo primo “ step“ segue una seconda fase più analitica e particolareggiata. In realtà, in accordo alle linee guida universalmente accettate dalle varie Società scientifiche internazionali (in Italia, tra le altre, dalla AIOM, ovvero l’Associazione di Oncologia Medica), solamente le donne ascrivibili al gruppo 3, quindi ad alto rischio per la presenza di casi di malattia nel gruppo familiare con determinate caratteristiche (numero di incidenze, età di insorgenza, bilateralità…) sono candidate al percorso di valutazione genomica. Naturalmente, quelle del gruppo 1, a bassissimo rischio, e del gruppo 2, a medio rischio, rimarranno sotto controllo specifico, passibile di future modificazioni a seconda di variazioni delle “conoscenze scientifiche” o di “successiva ulteriore espressione familiare di malattia.

Da un punto di vista concreto, in cosa consiste il test genetico?
Nelle donne definite ad alto rischio si esegue un prelievo di sangue per una valutazione genomica che può individuare o meno una variazione del BRCA1 oppure del BRCA2. Ricordo, come già accennato, che solo nel 10% di donne appartenenti a questo gruppo è riscontrabile una mutazione. E questo deriva dal fatto che purtroppo non abbiamo anche una conoscenza assoluta della genetica. Probabilmente nei prossimi anni aumenteranno le nostre conoscenze che comporteranno un aumento della frequenza del riscontro di mutazioni somatiche in queste donne. Alla disponibilità del dato genetico segue un secondo diretto colloquio tra la donna e lo specialista per pianificare, in accordo anche al quadro clinico-strumentale delle mammelle, le strategie successive e la tempistica da perseguire.

Cosa accade alle donne il cui test non abbia presentato mutazioni?
Nelle non mutate, però appartenenti al gruppo ad alto rischio, bisogna considerare che possano non essere mutate perché hanno una mutazione genetica che ancora non si conosce e, quindi, vanno considerate come casi "incerti". Tutto ciò impone un percorso più attento, personalizzato con un'ottica completamente diversa da coloro che magari appartengono al gruppo 1/2 . Quindi controlli molto più frequenti, molto più particolareggiati, per esempio valutando molto più attentamente l'attività e l’iconografia ecografica delle ovaie. Per quanto riguarda la mammella, pianificare una risonanza magnetica nucleare con sonda adibita allo studio delle mammelle. Cosa che di routine, nello screening, non viene fatta.

E nelle donne mutate?
È
 un discorso complesso sotto ogni profilo: patologico, clinico, programmatico, terapeutico, prognostico. Va affrontato collegialmente (Core Team) con competente cautela e senza frettolose decisioni. È un argomento con risvolti psicologici non indifferenti, ma anche proposte innovative promettenti. Non ritengo che si possa parlarne brevemente in questa sede. Ogni caso va affrontato direttamente con la donna e con le opportune variazioni “personalizzate”.

Parliamo infine di fascia d’età.
Come accennavo, il tumore alla mammella è in aumento. In termini percentuali, l’aumento più evidente, del 30%, è soprattutto con giovani donne, nella fascia d’età tra i 28 e i 32 anni. È ovvio che, oltre a sconcertare e a disturbare l'esistenza di queste giovani donne, si scatena anche un discorso a respiro familiare, considerando che molte di loro hanno nel nucleo familiare altri componenti con precedente neoplasia mammaria: la mamma o una sorella più anziana o la zia o delle cugine. E tutto questo non fa altro che amplificare il problema. Questa donna ha bisogno di essere guidata, di essere instradata, facendo attenzione a non spaventarla troppo, ma anche a non tranquillizzarla troppo. Coesistono in tali giovani donne problematiche importanti non legate direttamente alla situazione neoplastica ma dipendenti da essa o dalla mutazione genetica con risvolti interessanti la vita sociale, riproduttiva, ormonale. Problematiche impensabili da affrontare se non in équipe: psicologo, genetista, ginecologo, oncologo medico, chirurgo plastico e, infine, chirurgo senologo come “tutor” (Core Team).

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